Editoria: tutto tace sul DdL Levi-Prodi
Leggevo l’altro giorno un articolo di Lorenzo Strona, Presidente Unicom, in cui rimarcava l’assordante silenzio da parte della stampa sul Decreto legge proposto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Franco Levi. La considerazione è che non toccando il decreto l’assunto con il quale è stabilito che l’attività editoriale è assistita dalla mano pubblica in nome di una tutela del pluralismo dell’informazione, va bene così. In realtà i finanziamenti a pioggia, come uso corrente e diffuso soprattutto nel nostro paese, guarda caso riguardano una platea sterminata di testate (?) edite da partiti, associazioni, gruppi politici, sindacati, cooperative, etc. Per rendersene conto è uscito un interessante libricino edito da ERI-RAI di Bruno Lopez di cui vi trascrivo la presentazione della casa editrice:
Anche le più recenti e clamorose inchieste che hanno puntato l’indice contro la “casta” e i “costi” della politica glissano su uno dei più grossi scandali politico-amministrativi degli ultimi decenni: il finanziamento statale dei giornali.
Eppure un portentoso flusso di danaro pubblico, calcolato sui 700 milioni di euro in un anno, finisce per mille rivoli, sotto forma di contributi diretti o indiretti – attraverso una stratificazione di norme clientelari, codicilli, trucchi e vere e proprie truffe – nelle casse di grandi gruppi editoriali, organi di partito, cooperative, giornali e giornaletti, agenzie, radio e Tv locali, ma anche di finti giornali di finti “movimenti” e di cooperative fasulle.
Rimpolpando gli utili degli azionisti di grandi testate in attivo. Alimentando sottogoverno e clientele. E consentendo illecite rendite e privilegi mediatici a un esercito di “amici degli amici”.
Un dossier/pamphlet su un intricato caso di rapina delle risorse pubbliche e di distorsione del mercato e della vita democratica indispensabile per capire lo stato di mortificazione dell’informazione in Italia e la sua riduzione
a “specchio del diavolo” della casta del Potere.
E allora ci meravigliamo dell’assordante silenzio? Parliamo invece del rumore del popolo dei blog scatenati in rete contro il decreto che con la solita poca chiarezza e libertà interpretativa tipica dei nostri legislatori, sembra voglia intaccare la possibilità di scrivere, proporre, criticare attraverso i blog da parte dei cittadini regolamentandoli come vere testate giornalistiche. Ho detto sembra visto che nessuno ci aveva fatto caso neanche il nostro ministro delle telecomunicazioni, trascrivo dichiarazione rilasciata dal ministro ripresa dal blog di grillo:
– “mi prendo la mia parte di responsabilità per non aver controllato personalmente e parola per parola il testo…che autorizza interpretazioni estensive che potrebbero limitare l’attività di molti siti e blog. Molto meglio lasciare le regole attuali…” Paolo Gentiloni, Ministro delle Comunicazioni
Ancora una volta siamo riusciti ad attirare l’attenzione della stampa internazionale che, ancora una volta ci ha ridicolizzati… ma non finirà mai???
C’è poi un articoletto buttato lì percaso che riguarda direttamente le agenzie di comunicazione art.11 comma4 che recita: Gli esercenti attività di intermediazione sulla pubblicità non possono ricevere alcuna reminerazione o vantaggio da parte di soggetti diversi dal committente. In sintesi via la commissione di agenzia. Qui mi trovo in disaccordo con il parere di Strona, ma la commissione di agenzia non si è mai capito perché debba essere riconosciuta all’agenzia e non al Cliente che aquista. Ritengo sia eticamente corretto in un rapporto aperto e trasparente con il cliente che la commissione venga assorbita come sconto dal cliente e, che le agenzie (noi) si facciano pagare il giusto dai clienti per i servizi svolti, anche quelli di pianificazione sui mezzi. Diverso è il discorso nel caso in cui l’agenzia acquisti pacchetti su testate diverse che poi rivende al cliente in quel caso la trattativa con gli editori è diretta e gli sconti ottenuti all’acquisto rientrano di diritto nella percentuale di redditività dell’agezia. Capisco che il momento è critico e gli investimenti in comunicazione soprattutto dalle piccole e medie imprese sono in calo (da tempo) ma, proprio in situazioni di criticità del mercato dobbiamo sforzarci di trovare nuove regole e nuovi modus operandi e se questo significa rivedere anche diritti oramai ritenuti acquisiti facciamolo, altrimenti non si capisce perché bisogna criticare “le caste”. Non è che in fondo in fondo siamo solo arrabbiati perché non ne facciammo parte?










Lascia un commento