Autoscatti di potere, l’antidoto è il sapere

casinifoto.jpgCi risiamo. È successo di nuovo, molto in fretta, ma era inevitabile. Per la seconda volta in pochi giorni il potere si fa l’autoscatto, e i fotografi, come annunciato, protestano sindacalmente sdegnati. Ma forse sbagliano bersaglio. Il problema è un po’ più grave di una “concorrenza sleale”.

Quando i babbi d’Italia possedettero tutti una Instamatic, negli anni Cinquanta, il fatturato dei bravi fotografi di bottega crollò: le foto dei battesimi e delle prime comunioni ormai si facevano in famiglia. I babbi d’Italia non ebbero “rispetto per chi lavora?” Avrebbero dovuto rinunciare alla fotografia domestica per non cacciare fuori dal mercato gli onesti professionisti della fotocamera?

Capisco lo sconcerto e l’irritazione dei fotografi professionali che ieri sera, dopo aver atteso per ore di scattare una foto ai partecipanti all’incontro fra governo e parti sociali, hanno scoperto che una foto del vertice era già stata scattata e diffusa via Twitter da uno dei presenti al tavolo della trattativa, e dunque che hanno lavorato per niente.

Capisco e rispetto l’impulso di deporre le fotocamere per protesta, per sdegno e ritorsione, all’uscita delle delegazioni. Capisco e condivido il senso di minaccia per la professione che viene dalla pratica dell’autoritratto di potere a condivisione istantanea, e dalla brusca accelerazione che questa pratica sembra avere subìto dopo l’esordio della foto twittata qualche giorno fa da Pierferdinando Casini. Capisco tutto, tranne la spiegazione data a caldo: “Non hanno rispetto per il nostro lavoro”. Credo che manchi completamente la percezione del problema vero.

Mi domando: i fotografi cosa chiedono ai politici? Di non togliere di tasca il fotocellulare quando vanno agli incontri riservati? In nome di cosa? Del rispetto “per chi lavora”? Il bricoleur che ripara da solo il rubinetto di casa che perde starebbe dunque  commettendo un atto irrispettoso contro la categoria degli idraulici?

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